Frege e Russell


Formalismo Logico
Il paradosso di Russell
La "Teoria dei tipi logici" di Russell
Il paradosso di Epimenide
La dimostrazione dei Principia Mathematica



Formalismo logico
La matematica, e l’aritmetica in particolare, si esprime normalmente con un linguaggio non formalizzato, come, ad esempio, la lingua italiana. G.Frege (Biblio,Links) e B.Russell (Biblio,Links) pensavano che, come nel caso della geometria, i problemi e le ambiguità dell’aritmetica fossero dovuti all’utilizzo di concetti d’uso quotidiano anziché di termini rigidamente formalizzati. Essi attuarono un’opera di sistematizzazione della matematica attraverso la sua ‘traduzione’ nella logica. Secondo loro, il sistema formale risultante sarebbe stato scevro da imperfezioni.

Alla base di questa operazione stava il presupposto che esiste una lingua logica ideale che costituisce la struttura oggettiva del pensiero; il pensiero consiste di connessioni tra oggetti ; i numeri sono proprio oggetti di questo tipo ed il contare consta di connessioni tra tali oggetti. Il calcolo è così riconducibile all’atto primario del pensiero e non necessita del linguaggio matematico come intermediario; questo va dunque eliminato, riconducendo la matematica alla propria matrice logica.

Già il primo Wittgenstein (Biblio,Links), nel Tractatus (1922), criticò aspramente questa impostazione, sostenendo viceversa che è il calcolo matematico che basta a sé stesso e non necessita di fondazione logica, essendo le proposizioni matematiche diretta espressione della realtà ; ma tale posizione è a sua volta insostenibile.

Il formalismo logico-matematico così prodotto non basta a sé stesso ma necessita di un corredo di concetti, regole, tecniche ad esso estranei ; in tal modo ripropone gli stessi problemi del sistema matematico che dovrebbe perfezionare.



Il paradosso di Russell
Frege (Biblio,Links) pubblicò i Grundgesetze der Arithmetik nel 1893. In una lettera di qualche tempo dopo, Russell (Biblio,Links) gli comunicò che i Grundgesetze contenevano una contraddizione, o meglio, una antinomia, cioè un paradosso logico. Russell tento di risolverla nei Principia Mathematica (PM), pubblicati intorno al 1913 insieme a A.N.Whitehead (Biblio,Links).
La contraddizione era dovuta al paradosso dell’autoreferenza ; riguarda precisamente :

la classe di tutte le classi che non contengono sé stesse

Dobbiamo considerare i seguenti concetti e presupposti :
esistono entità logiche denominate ‘classi’ o ‘insiemi’ che raccolgono tutti gli oggetti aventi una certa proprietà 
(che sono, dunque, suoi ‘membri’ o ‘elementi’);
per ogni proposizione si deve poter dire se è vera o falsa.
Definendo una classe si crea anche la classe di tutti gli oggetti residui, cioè che non appartengono a quella classe.

L’‘universo’ o sistema di riferimento deve essere completo e coerente :
completo significa che per ogni oggetto logico si deve poter dire se appartiene o meno ad una data classe ;
coerente, o non contraddittorio, significa che un oggetto non può contemporaneamente appartenere ad una classe e alla classe residua (Watzlawick). Esemplifichiamo.

La classe G contiene tutti i gatti ;
tutti gli oggetti che non sono gatti appartengono alla classe ¬ G (nonG);
ogni oggetto appartiene a G o ¬ G.

La classe G non contiene sé stessa ; infatti non è un gatto ; ma consideriamo, ad esempio, la classe C di tutti i concetti ; essendo essa stessa un concetto, contiene se stessa ; analogo è il caso della classe di tutte le classi ; chiamiamole ad "auto-ingerimento" (Hofstadter trad.it.p.21). Ogni classe dell’universo o è ad "auto-ingerimento" oppure no ; creiamo così la classe M che contiene tutte le classi ad "auto-ingerimento", cioè che contengono sé stesse.

Il paradosso si manifesta quando cerchiamo di collocare ¬ M : contiene se stessa o no ? Se tale classe non è membro di se stessa allora è membro di se stessa ; se tale classe è membro di se stessa allora non è membro di se stessa ; è ad "auto-ingerimento", se e solo se non è ad "auto-ingerimento". La deduzione logica porta ad un risultato paradossale ed alla violazione delle premesse. La questione è perciò indecidibile.



La "Teoria dei tipi logici" di Russell
La risposta che diede Russell (Biblio,Links) nei Principia Mathematica è costituita dalla "Teoria dei tipi logici". Questa teoria instaura una gerarchia di tipi logici che non può (non deve!) essere infranta. Gli oggetti di una classe sono di un tipo logico inferiore rispetto alla classe;
"qualunque cosa presupponga tutti gli elementi di una collezione non deve essere un termine della collezione" (Watzlawick trad.it. p.189).
Le classi ad "auto-ingerimento" sono, dunque, ‘prive di significato’. Una classe di classi , cioè una metaclasse, non è propriamente una classe. Dire che l’insieme di tutti i concetti è esso stesso un concetto è ‘privo di significato’ poiché è un ‘concetto’ di un tipo logico superiore.

Questa gerarchizzazione è un po’ artificiosa ma, se accettata, pone un freno alla circolarità ricorsiva innescata dalla autoreferenza.



Il paradosso di Epimenide
Se si esce dall’ambito dei sistemi formalizzati e si considera il linguaggio quotidiano, possiamo enumerare dozzine di paradossi simili a quello di Russell ; il più noto e pregnante è l’antico paradosso di Epimenide.

Epimenide era un cretese che disse :
"Tutti i cretesi sono mentitori".

Altre versioni possono essere :

"Io sto mentendo" ;
"questo enunciato è falso".

Se l’enunciato è falso, allora non è vero ‘che è falso’ ; quindi sarà vero ; ma se è vero, allora è vero ‘che è falso’ ; quindi....si può proseguire all’infinito senza mai trovare una conclusione convincente . E’ vero se è falso, e viceversa. Questo enunciato viola la suddivisione degli enunciati in veri e falsi.

La Teoria dei tipi logici, nell’ambito delle definizioni paradossali, non ha alcun effetto, poiché non vi è nessuna regola linguistica che mi proibisce di dire : "io sto mentendo". Lo stesso Russell, conscio della questione, anticipò la teoria dei livelli di linguaggio nella sua introduzione al Tractatus Logico-Philosophicus suggerendo che

"ogni linguaggio ha, come dice Wittgenstein, una struttura della quale nulla può dirsi in quel linguaggio, ma che vi può essere un altro linguaggio che tratti della struttura del primo linguaggio e possegga a sua volta una nuova struttura, e che tale gerarchia di linguaggi può non aver limite" (Russell ).

Nel linguaggio quotidiano, però, non è possibile imporre una rigida compartimentazione dei livelli ; e disfarsi del paradosso di Epimenide bollandolo come ‘privo di significato’ è un po’ troppo semplicistico.



La dimostrazione dei Principia Mathematica
L’opera di sistematizzazione formale e di fondazione logica dei Principia Mathematica  riscosse, comunque, un notevole successo. Ma quest’opera aveva la pretesa di costituire un unico sistema che ricomprendesse e organizzasse tutta la matematica.

Si poneva dunque la questione della completezza e della coerenza di tale sistema; esso è completo se tutti gli enunciati veri della matematica sono derivabili (‘ottenibili’ e ‘dimostrabili’) al suo interno; è coerente , o non-contraddittorio, se non possono derivarsi al suo interno enunciati contraddittori, vale a dire una proposizione e la sua negazione. Una questione di questo tipo rientra nella metamatematica, poiché è un’indagine matematica sulla matematica.

Il matematico tedesco D.Hilbert lanciò proprio questa sfida alla comunità dei matematici : dimostrare la completezza e la coerenza dei PM.
Ma quali strumenti dovevano essere usati per tale scopo? Hilbert propose di usare i metodi esposti nei PM , o meglio, solo una parte di essi. In tal modo innescava una circolarità che avrebbe permesso ai PM di reggersi da soli .
Nessuno riuscì nell’impresa proposta da Hilbert. Gödel, anzi, dimostrò il contrario.